In questo periodo la chiusura forzata delle attività commerciali dovuta all’emergenza COVID-19 ha portato molti a domandarsi se i conduttuori esercenti le suddette attività possano legittimamente richiedere ed ottenere la riduzione, ovvero la sospensione del pagamento dei canoni di locazione.
Per rispondere al quesito è necessario esaminare le disposizioni codicistiche che potrebbero essere invocate a sostegno di una simile richiesta.
Ad opinione dello scrivente gli unici articoli invocabili sono quelli che disciplinano l’interpretazione del contratto e che si trovano contenuti nel capo IV del codice civile.
A tal proposito l’art. 1371 c.c. stabilisce che: “Qualora, nonostante l’applicazione delle norme contenute in questo capo, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato”.
In estrema sintesi si potrebbe sostenere che la mancata previsione all’interno dei contratti di locazione commerciale di norme che disciplinano il pagamento del canone di locazione in ipotesi di emergenza sanitaria consente di ritenere applicabile l’art. 1371 c.c. e l’art. 1374 c.c. che legittimano il conduttore a richiedere al giudice l’integrazione del contratto nella parte in cui non ha previsto una sospensione del canone, ovvero una riduzione dello stesso in caso di emergenza sanitaria.
Tale tesi potrebbe essere supportata anche dalla previsione dell’art. 65 del Decreto Cura Italia che ha previsto che; “ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1.”
Pertanto si potrebbe richiedere al giudice una riduzione del 40% del canone di locazione commerciale per il mese di marzo e per gli eventuali successivi mesi di fermo dell’attività.
Tale soluzione appare la più coerente con il dettato normativo in quanto non può invocarsi l’art. 1265 c.c. che disciplina la fattispecie della perpetuatio obligationis dopo la scadenza del termine per l’adempimento a fronte dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (che determinerebbe una mera sospensione del canone che dovrebbe essere versato per interno alla fine del periodo di emergenza sanitaria), né tanto meno l’art. 1467 c.c. che disciplina la diversa ipotesi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione poiché tale ipotesi rileva solo nel caso di risoluzione del contratto e quindi non consentirebbe di ottenere una riduzione o una sospensione del canone.
Da ultimo non può ritenersi applicabile nemmeno l’art. 1464 c.c. che disciplina la fattispecie dell’impossibilità parziale della prestazione in quanto il locatore potrebbe eccepire che l’immobile è comunque rimasto nella disponibilità del conduttore.
Ad ogni modo, lo scrivente Avvocato ritiene che il conduttore debba preliminarmente inoltrare una lettera circostanziata al conduttore avvalendosi dell’aiuto di un professionista al fine di richiedere in via bonaria la riduzione del canone e, successivamente, in caso di mancato riscontro, potrà avviare il procedimento di mediazione obbligatoria prima che il locatore instauri la procedura di sfratto per morosità.
Avv. Giorgio Mannucci